2019 anno zero della terza repubblica e del movimento lgbti. Serve sapere di non sapere.

E’ da 2013 che si parla di nascita della terza Repubblica,

dopo le elezioni in cui entrò per la prima volta in Parlamento il M5S. In realtà è stata solo una fase di transizione, il crepuscolo di una ciclo politico, il patto del Nazareno, il declino di Berlusconi e del suo epigono di centrosinistra, Renzi, con un maldestro tentativo di riformare la Costituzione e un continuo fuggire dalla parola “sinistra”. La vera terza Repubblica è invece nata proprio in questo 2018 che ci sta lasciando: la destra pseudoliberale e postdemocristiana del patron di Mediaset e il campo progressista trasformato in mediocre liberismo compassionevole, che avevano in diverse forme dominato la scena dopo Tangentopoli, sono stati spazzati via dalle nuove forze del popolo, Lega ed M5S. Non uso il termine populiste perché contiene già un giudizio.

La saldatura tra popolo e Governo

Il fatto che qui è importante riconoscere, volenti o nolenti, è l’empatia che si è creata tra queste due forze e gli strati più profondi della popolazione. Così, con il governo Conte, è davvero iniziata una nuova stagione. La politica più reazionaria e più carica di odio xenofobico, capace di passare dalle parole alla chiusura dei porti, dai proclami, al decreto (in)sicurezza che butta per strada persone stracciando i permessi umanitari. La politica più nutrita di slogan e proclami che si ricordi, che tuttavia da ancora l’impressione di poter affrontare con successo i temi del lavoro e della povertà, nonostante una manovra che ha sparso risorse qua e là e che non contiene elementi concreti per ridurre le disuguaglianze e far ripartire l’ascensore sociale (vedi i tagli all’Università e alla Scuola).

In sostanza, al governo abbiamo una forza vagamente riconducibile alla destra sociale, che usa metodi completamente nuovi e governa astutamente grazie alla paura del diverso, insieme a chi si improvvisa a difensore del popolo senza averne né le capacità né le competenze. Le uniche competenze delle due forze di governo stanno nell’aver costruito una strategia e una macchina comunicativa in grado di sbaragliare qualunque concorrenza. Se Berlusconi e Renzi avevano posto la comunicazione prima della politica, Salvini e Di Maio la politica non la fanno proprio, sono essi stessi “comunicazione” (vedi social e dirette facebook) sono essi stessi la persona qualunque (vedi la nutella a Santo Stefano) o Di Battista che difende l’azienda di famiglia. Sono essi stessi macchina di consenso che rischia di diventare fine a se stesso. La politica la lasciano ai poveri tecnici che devono mediare tra il contratto di Governo e la realtà.

Urlando in Europa senza soluzioni

Giusto ingaggiare una trattativa con Bruxelles, anche perché è vero che i vincoli di Maastricht non funzionano ed è la stessa Francia a sforare (più di noi) il rapporto deficit/Pil. Per quale genere di misure però, per fare l’ennesimo condono senza toccare il cuneo fiscale sul lavoro? Senza contare il pressappochismo di chi dice “l’Europa deve farsi carico del problema migranti” per poi schierarsi con il blocco Visegrad, ovvero quei Paesi che migranti non ne vogliono nemmeno a pregarli.

Ciò che rende quest’anno ancora più particolare è che dalla nascita del Governo ad oggi le forze che hanno sbaragliato i partiti precedenti si sono persino rafforzate, in particolare la Lega, che ha raddoppiato i propri consensi superando nei sondaggi il 32%, mentre il M5S arretra al 25% ma si mantiene stabile ormai da alcuni mesi. Il punto vero è che la sinistra, che sia radicale, socialdemocratica, progressista, è completamente fuori gioco. I temi della sinistra, il sentimento di attaccamento al partito che dovrebbe difenderti dall’abuso del potere e delle elite, sono stati completamente assorbiti da M5S e Lega.

L’errore più grave del 2018?

Non me ne vogliano in molti e in molte, ma credo che prossimamente il PD si pentirà sempre di più di non aver provato a governare con il M5S, specie dopo aver visto i numeri che verranno fuori dalle prossime elezioni europee.

E’ bene cominciare il nuovo anno, sapendo di non sapere, come ci ha insegnato il buon Socrate.

E’ questo vale tanto per le forze progressiste quanto per il nostro microcosmo lgbti. Il campo progressista non ha saputo affrontare le nuove sfide sul piano economico dalla crisi del 2011 in poi, da quando Bersani non ebbe il coraggio di andare al voto spianando la strada al Governo Monti, sostenuto anche dal PD. La Lega ha la capacità di focalizzare al meglio le criticità del sistema Europa, mentre il M5S riesce a parlare a chi non ha nulla. Il problema è passare alle soluzioni.  Quindi, prima cosa che bisogna sapere di non sapere (almeno abbastanza) e che non abbiamo ancora un’alternativa forte di Europa da contrapporre a queste forze, che non può essere solo il mantra del più Europa.

Seconda cosa da sapere di non sapere è che non abbiamo strutture, metodi e strategie paragonabili a quelle delle forze di governo. La vecchia forma del partito è in crisi (vedi il PD), Salvini e Di Maio governano con due comitati elettorali permanenti, le esperienze a sinistra del PD sono purtroppo pura testimoninanza (e meno male che tuttavia ci sono).

Il fronte Lgbti che non c’è

Questa situazione è abbastanza speculare alle associazioni lgbti: dopo l’ultima grande manifestazione in piazza del popolo del 2016 (purtroppo quella piazza oggi se la prende Salvini), ci si è persi tra faide interne, zero politica, zero innovazione sul piano organizzativo e manageriale, totale chiusura autoreferenziale. Gli unici risultati sono arrivati dalla magistratura. Se in Europa l’universo lgbti segue l’esempio del no-profit strutturato e delle grandi ONG, capace di integrare volontariato e professionalità, in Italia le associazioni lgbti sono lontane anni luce da questa impostazione, tranne pochi e sparuti tentativi e tolte alcune esperienze sul territorio.

A questo si aggiunge che non è stata ancora prodotta alcuna vera strategia contro la maggioranza, tranne pochi sit in piazza, e si è invece riusciti ad attaccare politicamente l’unica figura in grado di essere interlocutrice nel Governo, il sottosegretario Spadafora.

Sapere di non riuscire a fare politica quindi, in questo caso di distinguere tra Governo e Istituzioni, cioè pretendere quel poco che può essere fatto per la comunità in termini di welfare e risorse e scendere il giorno dopo in piazza per rigettare gli scempi del Governo sui diritti civili.

Servono argomenti nuovi

Infine, sapere di non sapere come entrare in sintonia con la popolazione. Senza un’alternativa forte e coerente, senza la capacità di unire diritti sociali e civili in un’unica proposta, senza una pratica di intersezionalità concreta, purtroppo i nostri temi rischiano di non essere più avvertiti come fondamentali e persino denunciare l’ovvio, come l’evidente tendenza autoritaria e a tratti fascista delle forze di governo, rischia di ricordare la famosa storia di chi gridava sempre “al lupo al lupo”. Dall’alta parte, invece, il fronte conservatore è organizzatissimo, scende in piazza e sta al tempo stesso in ogni angolo e tavolo istituzionale, rivendicando risultati anche quando non li ottiene.

Sapere di non sapere, diventa in conclusione un buon augurio di sana autocritica che per quanto possa risultare irritante, è probabilmente la cosa che più ci serve per il prossimo anno.