Lorenzo Jovanotti si dice UNA poeta!!!

 

 

 

 

 

 

 

 

Durante la quarta serata di Sanremo 2022, l’ospite Jovanotti, dopo il duetto con Gianni Morandi, ritorna sul palco dell’Ariston per un intervento durante il quale  recita i versi della poesia di Mariangela Gualtieri Bello mondo.

Sanremo 2022

Jovanotti chiama Gualtieri, com’è giusto che sia, poeta e non poetessa, facendo il paragone con la parola atleta dicendo che sono parole senza genere. 

Fin qui tutto bene, anzi, benissimo. 

Purtroppo, per eccesso di zelo, quando chiama Gualtieri poeta, Jovanotti usa l’articolo  al maschile e dice è un grandissimo poeta.

Adesso è vero che la parola poeta, come atleta, è  senza genere o meglio di genere comune, e non cambia desinenza per fare il maschile o il femminile.
La lingua italiana però richiede sempre un accordo dei sostantivi sul genere grammaticale con gli articoli gli aggettivi i verbi.

Per cui dirò Montale è un grandissimo poeta  e Gualtieri è una grandissima poeta, proprio come Elisa Balsamo è UNA atleta. 

Il maschile inclusivo

Vien da chiedersi  perché Jovanotti abbia declinato al maschile la parola poeta quando la grammatica italiana non solo gli permette ma lo obbliga in questo caso a usare il genere grammaticale femminile.

Forse, ma non potendolo chiedere al diretto interessato la nostra rimane una speculazione, perché, abituate e abituati al maschile inclusivo, anche dinanzi a un nome ambigenere, il maschile ci appare istintivamente come il genere comune. Come se, togliendo quel suffisso derivativo a poet-essa la parola che rimane, poeta, non possa che essere maschile.

E invece no.

Il femminile dei nomi di professione.

La lingua italiana permette il femminile per tutti i nomi di professione anche quelli di genere comune, sia quelli che al plurale si declinano, com’è il caso di poeta e atleta (che al plurale fanno, rispettivamente, poet-i  poet-e e atlet-i  atlet-e) sia per quei nomi pienamente ambigenere come giudice, che resta invariato anche al plurale (i giudici le giudici)  o vigile.

Se, sbagliando la grammatica,  chiamiamo Mariangela Gualtieri UN poeta, tanto vale chiamarla poetessa come crede Cecilia Robustelli che è in disaccordo con Alma Sabatini che è stata la prima a suggerirne l’uso.

Le ragioni di chi è contrario…

C’è chi dice che è una questione di abitudine, visto che fino a poco tempo fa le donne non accedevano a certe professioni viene  spontaneo chiamare avvocato anche una donna.
Viene da chiedersi allora perché non si chiami infermiera anche un uomo visto che gli uomini  prima del 1971 non potevano accedere, per legge, a quella professione…

C’è chi per i nomi di professione crede di dire bene quando ragiona che il termine si riferisce alla funzione e non già all’identità di genere di chi la esercita.

Per cui dovremmo dire il sindaco Virgina Raggi, il ministro Mara Carfagna.

Però non ci sogneremmo mai di dire il maestro Carla, il parrucchiere Serena, per le quali usiamo i regolari femminili, che esistono anche per sindaco e ministro.

Evidentemente queste resistenze si basano su un orecchio non solamente sessista ma anche classista che non trasale a sentire maestra ma lo fa per ministra, si adonta per sindaca ma non per monaca.

Un orecchio di parte, un orecchio da rieducare.

…o contraria.

Anche quello di molte donne purtroppo,   che, sentendosi chiamare con la carica al femminile, storcono il naso, ritenendolo meno autorevole del maschile, come fu per Camusso che si faceva chiamare segretario della CGIL  o Beatrice Venezi che, a Sanremo 2021, diceva di essere direttore d’orchestra.
O, più recentemente, Maria Sole Ferrieri Caputi che, quando si sente chiamare arbitra, teme la si voglia sminuire rimarcando che lei è una donna.

Una antica abitudine al patriarcato fa pensare a queste donne che la vera conquista sia di avere accesso alle cariche maschili nonostante il loro essere donna, senza capire minimamente che la vera conquista la si fa anche col nome.

L’esclusione delle donne.

Finché le donne non avranno anche nel nome il riconoscimento delle professioni che con tanta fatica sono riuscite a conquistare resteranno invisibili e nascoste dietro un nome maschile che si pretende neutro, mentre in italiano il neutro non esiste.

Perché in un mondo detto sempre e solamente al maschile, le donne non hanno la possibilità di rispecchiarsi, rimanendo invisibili a se stesse e al mondo, in quanto innominate. E dal non detto all’inesistente il passo è breve.

Naturalmente diciamo questo per sensibilizzare le donne non per imporre loro alcun nome, per cui chiameremo Camusso, Venezi e Ferrieri Caputi coi nomi che si sono scelte, perché il diritto all’autodeterminazione è inalienabile anche quando esercita una scelta sessista.

Ci auguriamo siano loro a capire che il nome di professione al femminile non le rispedisce in serie B ma le annovera finalmente in una serie A dove hanno la stessa visibilità dei colleghi.

Apprezziamo dunque le buone intenzioni di Jovanotti che, però, si sa dove conducono…

Per cui, ribadiamo, se chiamiamo Mariangela Gualtieri UN poeta, sbagliando la grammatica, tanto vale chiamarla poetessa.

 

L’importanza della bisessualità nel nostro immaginario collettivo.

Riceviamo una mail da un nostro socio, Tom Dacre, sulla fiction tv di RAI 1 Un professore per la regia di Alessandro D’Alatri, che abbiamo girato al nostro esperto di media Alessandro Paesano che ha risposto a Tom.

Pubblichiamo mail e risposta con l’auspicio che possa essere occasione per riflettere sulla capacità dei telefilm di smuovere l’immaginario collettivo, e offrire personaggi nei quali tutte le persone possano davvero immedesimarsi.
Perché parafrasando Fassbinder, i telefilm liberano la testa ma possono anche fare dei danni.  

Dall’11 novembre al 16 dicembre 2021 sono andati in onda su rai 1 in prima serata gli episodi della serie tv un professore che racconta le vicissitudini di Dante Balestra, un insegnante di filosofia di mezza età sia nel lavoro a scuola che nella vita privata; le due sfere nella fiction si incrociano essendo Simone Balestra, suo figlio, anche alunno di una classe in cui insegna.
Nel corso della trama Simone si scopre omosessuale e attratto dal suo migliore amico, Manuel, con il quale avrà una notte d’amore ma che, nonostante tutto, si dichiara eterosessuale.
La serie sembra avere una qualità migliore rispetto al prodotto medio rai (cioè almeno personalmente non mi puzza di fascioclericalata “buonista” come la fiction del prete in bicicletta che si dà alle indagini, serie che nemmeno nomino), porta non solo delle piccole nozioni di filosofia al grande pubblico, ma anche è libera, a parer mio, da quel moralismo perbenista che mi sembra di trovare in molti prodotti Rai, e tratta l’argomento omosessualità e la scoperta di sé in modo realistico, senza patetismi e macchiette.

Simone (Nicolas Maupas) e Manuel (Damiano Gavino).

Ciò che mi ha deluso invece, soprattutto da persona bisessuale, è stata la mancanza del concetto di bisessualità; capisco che nessuno dei personaggi lo sia, nemmeno Manuel sebbene abbia avuto un rapporto sessuale con Simone (non è un rapporto sessuale a definire l’orientamento sessuale di una persona), ma almeno potevano nominarla anche solo nei dialoghi, anche solo per ipotesi;
ad esempio quando Simone e Manuel parlano del rapporto sessuale che hanno avuto Manuel sottolinea la propria eterosessualità e dice a Simone che il rapporto ha avuto con lui c’è stato perché “con lui è diverso” (cit.); qui nella sceneggiatura si poteva inserire la domanda di Simone a Manuel “non è che sei bisessuale?” a cui la risposta sarebbe stata no, ma almeno avrebbero mostrato di aver tenuto conto dell’esistenza della bisessualità; così come si poteva far dire a Manuel “non sono gay né bisessuale”, e invece no, la parola “bisessuale” o “bisessualità” non sono proprio  nominate…

Spero almeno che l’argomento venga trattato nella seconda stagione della serie, che è stato annunciato si farà.

Tom Dacre

 

Ciao Tom,
hai perfettamente ragione, nella nostra discorsività la bisessualità non è ancora una opzione. Rimaniamo dentro un dualismo etero-omo angusto e ipocrita.

Fai bene a pretendere che la bisessualità venga menzionata, perché esiste ed è il terzo orientamento sessuale, quello che di fatto spezza il binarismo omosessista che contrappone all’eterosessualità esclusivamente le omosessualità (gay e lesbica), un binarismo criticato, giustamente, da certo pensiero queer e non solo.

La serie diretta da un regista bravo come Alessandro D’Alatri, e sceneggiata da Sandro Petraglia, un uomo di grande mestiere, promuove timidamente in un immaginario collettivo tutt’altro che inclusivo.

Quando Simone racconta alla sua ex Laura che si è innamorato di Simone, le dice che l’ha lasciata non perché ama un’altra persona ma perché ha capito di essere gay (e la parola non viene nemmeno detta, ma solo allusa).
Nell’immaginario collettivo della fiction Simone sembra aver lasciato Laura più per incompatibilità che per onestà sentimentale.
Anche qui la bisessualità avrebbe potuto fare capolino, come possibilità, ma per Petraglia, lo sceneggiatore, se sei un ragazzo e ti piacciono gli uomini allora le donne non ti piaceranno sicuramente. Questo immaginario non funziona e i giovani e le giovani di oggi non hanno dei personaggi in cui immedesimarsi.

Finché pensiamo agli orientamenti sessuali come a dei recinti dai quali non possiamo mai sconfinare, a qualsiasi età, non capiremo mai davvero che Simone può essere gay ma fare l’amore anche con le ragazze, e che Manuel può essere etero anche se fa l’amore con Simone, perché non gli piace Simone in quanto ragazzo ma in quanto Simone, proprio quella persona lì, non il rappresentante di una categoria.

Mi chiedo quante persone abbiano rinunciato a un amore omoerotico per tema di dover rinunciare al resto, a quel luogo ideale dove preferiscono stare di solito ma dal quale, per il momento, si sono allontanate.

Purtroppo questa serie è pavida al punto tale di scegliere addirittura di non mostrare né il momento in cui Simone fa coming-out con la madre, vediamo il dopo, senza nominare che cosa è venuto a dirle, e, ancora più significativo, il momento un cui Simone e Manuel fanno l’amore.
Petraglia in seguito alle tante proteste del pubblico ha risposto che non è sempre necessario mostrare uno scambio sessuale. Quale sesso? Petraglia ignora che quello che il pubblico ha bisogno di vedere non è il sesso simulato ma l’affetto rappresentato, gli sguardi di amore e di eccitazione, il desiderio, la passione, l’essere insieme che fa di due persone qualcosa di forte, di potente, d’invincibile: due ragazzi che si amano.

Non il sesso ma l’amore.

Invece per l’Italia bacchettona del terzo millennio un mezzo bacio e un paio di indumenti raccolti, dopo, devono bastare.

Quindi Tom purtroppo, come vedi, questa serie impoverisce l’immaginario collettivo da diversi fronti.
Lo impoverisce dal fronte della bisessualità che non viene nemmeno presa in considerazione, di cui tu giustamente protesti, e da quello dell’affettività tra persone dello stesso sesso, che invece di essere censurata dovrebbe restituire con emozione, trasparenza ed empatia  la relazionalità tra due ragazzi che si amano portando in scena i loro sentimenti.

Alessandro Paesano

 

Voi che ci leggete cosa ne pensate?

Vi va di commentare, di scrivere, di intervenire?
Un’unica raccomandazione nessuno vi chiede di difendere una serie che vi piace né di criticare una serie che non vi è piaciuta.

Vi chiediamo se riuscite a  immedesimarvi nell’immaginario collettivo proposto da Petraglia e d’Alatri.

Diteci la vostra.

La redazione di Gaynet-Roma.

 

A proposito della Chiesa Cattolica e del World Congress of Families

L’avvocata della Sacra Rota Michela Nacca spiega l’assenza delle  autorità ecclesiastiche cattoliche al World Congress of Families, il conclave cattolico integralista che si riunisce a Verona dal 29 al 31 marzo,  con il fatto che a guidare il congresso è un movimento che sembra avere molti punti in comune con la destra fascista (…)  il cui fulcro è tornare indietro rispetto ai diritti delle donne e, pertanto, la presenza delle autorità ecclesiastiche cattoliche risulterebbe incoerente.

Lo sarebbe davvero?
A considerare, per esempio, la posizione della Chiesa contro l’aborto (la stessa del  WCF) che, nelle parole del Papa, è come affittare un sicario per risolvere un problema non si direbbe proprio.
Oltre al paragone diffamante dell’aborto all’omicidio  (essendo l’omicidio il sopprimere un individuo, cosa che un embrione non è), aborto che, lo ricordiamo, è una legge dello Stato, queste parole non fanno tornare indietro rispetto ai diritti delle donne proprio come l’avvocata dice del congresso, equiparando all’omicidio uno strumento che le donne hanno per non subire più la gravidanza ma scegliere liberamente se portarla a termine o meno?

Ancora, l’idea della complementarietà dei sessi che per Papa Francesco è un valore (altra opinione condivisa con  il WCF)  non è forse una delle cause della discriminazione  di genere?
Dire che uomini e donne si completano a vicenda significa affermare  che ciò che fanno gli uni non fanno le altre, cosa ormai smentita a più riprese dalla realtà fattuale della nostra società nella quale “i ruoli maschili” e “i ruoli femminili” non sono più così polarizzati come una volta. Le (presunte) differenze biologiche non c’entrano nulla con le differenze sociali, quelle dipendono dalla cultura (in senso antropologico) non dalla biologia.

Considerando  anche le note posizioni del Catechismo della Chiesa cattolica sulle persone omosessuali (la cui condizione è considerata un disordine morale che le obbliga a una castità totale tutt’al più sostenuta dalla cura disinteressata di un amico) o su  come la Chiesa cattolica rimetta nelle mani di chi governa il numero di persone migranti da accettare nei patri confini, l’incoerenza come motivo per spiegare l’assenza delle autorità ecclesiastiche cattoliche al WCF di Verona ci pare un mero espediente retorico.

La Chiesa non presenzia al WCF perché, avendo una posizione ufficiale più defilata e ipocrita (si accettano le persone omosessuali ma l’omosessualità in sé è un grave disordine morale), non vuole smascherare l’agenda politica che le sue posizioni etiche diffondono e propagandano, violando i diritti umani con la pretesa di essere garanti della spiritualità e del sentimento fede.

2019 anno zero della terza repubblica e del movimento lgbti. Serve sapere di non sapere.

E’ da 2013 che si parla di nascita della terza Repubblica,

dopo le elezioni in cui entrò per la prima volta in Parlamento il M5S. In realtà è stata solo una fase di transizione, il crepuscolo di una ciclo politico, il patto del Nazareno, il declino di Berlusconi e del suo epigono di centrosinistra, Renzi, con un maldestro tentativo di riformare la Costituzione e un continuo fuggire dalla parola “sinistra”. La vera terza Repubblica è invece nata proprio in questo 2018 che ci sta lasciando: la destra pseudoliberale e postdemocristiana del patron di Mediaset e il campo progressista trasformato in mediocre liberismo compassionevole, che avevano in diverse forme dominato la scena dopo Tangentopoli, sono stati spazzati via dalle nuove forze del popolo, Lega ed M5S. Non uso il termine populiste perché contiene già un giudizio.

La saldatura tra popolo e Governo

Il fatto che qui è importante riconoscere, volenti o nolenti, è l’empatia che si è creata tra queste due forze e gli strati più profondi della popolazione. Così, con il governo Conte, è davvero iniziata una nuova stagione. La politica più reazionaria e più carica di odio xenofobico, capace di passare dalle parole alla chiusura dei porti, dai proclami, al decreto (in)sicurezza che butta per strada persone stracciando i permessi umanitari. La politica più nutrita di slogan e proclami che si ricordi, che tuttavia da ancora l’impressione di poter affrontare con successo i temi del lavoro e della povertà, nonostante una manovra che ha sparso risorse qua e là e che non contiene elementi concreti per ridurre le disuguaglianze e far ripartire l’ascensore sociale (vedi i tagli all’Università e alla Scuola).

In sostanza, al governo abbiamo una forza vagamente riconducibile alla destra sociale, che usa metodi completamente nuovi e governa astutamente grazie alla paura del diverso, insieme a chi si improvvisa a difensore del popolo senza averne né le capacità né le competenze. Le uniche competenze delle due forze di governo stanno nell’aver costruito una strategia e una macchina comunicativa in grado di sbaragliare qualunque concorrenza. Se Berlusconi e Renzi avevano posto la comunicazione prima della politica, Salvini e Di Maio la politica non la fanno proprio, sono essi stessi “comunicazione” (vedi social e dirette facebook) sono essi stessi la persona qualunque (vedi la nutella a Santo Stefano) o Di Battista che difende l’azienda di famiglia. Sono essi stessi macchina di consenso che rischia di diventare fine a se stesso. La politica la lasciano ai poveri tecnici che devono mediare tra il contratto di Governo e la realtà.

Urlando in Europa senza soluzioni

Giusto ingaggiare una trattativa con Bruxelles, anche perché è vero che i vincoli di Maastricht non funzionano ed è la stessa Francia a sforare (più di noi) il rapporto deficit/Pil. Per quale genere di misure però, per fare l’ennesimo condono senza toccare il cuneo fiscale sul lavoro? Senza contare il pressappochismo di chi dice “l’Europa deve farsi carico del problema migranti” per poi schierarsi con il blocco Visegrad, ovvero quei Paesi che migranti non ne vogliono nemmeno a pregarli.

Ciò che rende quest’anno ancora più particolare è che dalla nascita del Governo ad oggi le forze che hanno sbaragliato i partiti precedenti si sono persino rafforzate, in particolare la Lega, che ha raddoppiato i propri consensi superando nei sondaggi il 32%, mentre il M5S arretra al 25% ma si mantiene stabile ormai da alcuni mesi. Il punto vero è che la sinistra, che sia radicale, socialdemocratica, progressista, è completamente fuori gioco. I temi della sinistra, il sentimento di attaccamento al partito che dovrebbe difenderti dall’abuso del potere e delle elite, sono stati completamente assorbiti da M5S e Lega.

L’errore più grave del 2018?

Non me ne vogliano in molti e in molte, ma credo che prossimamente il PD si pentirà sempre di più di non aver provato a governare con il M5S, specie dopo aver visto i numeri che verranno fuori dalle prossime elezioni europee.

E’ bene cominciare il nuovo anno, sapendo di non sapere, come ci ha insegnato il buon Socrate.

E’ questo vale tanto per le forze progressiste quanto per il nostro microcosmo lgbti. Il campo progressista non ha saputo affrontare le nuove sfide sul piano economico dalla crisi del 2011 in poi, da quando Bersani non ebbe il coraggio di andare al voto spianando la strada al Governo Monti, sostenuto anche dal PD. La Lega ha la capacità di focalizzare al meglio le criticità del sistema Europa, mentre il M5S riesce a parlare a chi non ha nulla. Il problema è passare alle soluzioni.  Quindi, prima cosa che bisogna sapere di non sapere (almeno abbastanza) e che non abbiamo ancora un’alternativa forte di Europa da contrapporre a queste forze, che non può essere solo il mantra del più Europa.

Seconda cosa da sapere di non sapere è che non abbiamo strutture, metodi e strategie paragonabili a quelle delle forze di governo. La vecchia forma del partito è in crisi (vedi il PD), Salvini e Di Maio governano con due comitati elettorali permanenti, le esperienze a sinistra del PD sono purtroppo pura testimoninanza (e meno male che tuttavia ci sono).

Il fronte Lgbti che non c’è

Questa situazione è abbastanza speculare alle associazioni lgbti: dopo l’ultima grande manifestazione in piazza del popolo del 2016 (purtroppo quella piazza oggi se la prende Salvini), ci si è persi tra faide interne, zero politica, zero innovazione sul piano organizzativo e manageriale, totale chiusura autoreferenziale. Gli unici risultati sono arrivati dalla magistratura. Se in Europa l’universo lgbti segue l’esempio del no-profit strutturato e delle grandi ONG, capace di integrare volontariato e professionalità, in Italia le associazioni lgbti sono lontane anni luce da questa impostazione, tranne pochi e sparuti tentativi e tolte alcune esperienze sul territorio.

A questo si aggiunge che non è stata ancora prodotta alcuna vera strategia contro la maggioranza, tranne pochi sit in piazza, e si è invece riusciti ad attaccare politicamente l’unica figura in grado di essere interlocutrice nel Governo, il sottosegretario Spadafora.

Sapere di non riuscire a fare politica quindi, in questo caso di distinguere tra Governo e Istituzioni, cioè pretendere quel poco che può essere fatto per la comunità in termini di welfare e risorse e scendere il giorno dopo in piazza per rigettare gli scempi del Governo sui diritti civili.

Servono argomenti nuovi

Infine, sapere di non sapere come entrare in sintonia con la popolazione. Senza un’alternativa forte e coerente, senza la capacità di unire diritti sociali e civili in un’unica proposta, senza una pratica di intersezionalità concreta, purtroppo i nostri temi rischiano di non essere più avvertiti come fondamentali e persino denunciare l’ovvio, come l’evidente tendenza autoritaria e a tratti fascista delle forze di governo, rischia di ricordare la famosa storia di chi gridava sempre “al lupo al lupo”. Dall’alta parte, invece, il fronte conservatore è organizzatissimo, scende in piazza e sta al tempo stesso in ogni angolo e tavolo istituzionale, rivendicando risultati anche quando non li ottiene.

Sapere di non sapere, diventa in conclusione un buon augurio di sana autocritica che per quanto possa risultare irritante, è probabilmente la cosa che più ci serve per il prossimo anno.