Giornata della visibilità lesbica

Due anni fa il nostro Eric Gentili scriveva, in occasione della giornata della visibilità lesbica un post  per ricordare l’importanza del lesbismo e delle donne lesbiche.

Un post che vi invitiamo a rileggere o leggere. Buona giornata della visibilità lesbica a tutte!

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Il 26 Aprile è la Giornata della visibilità lesbica, giornata importante per la visibilità e per ricordare il fatto che il lesbismo ha avuto una storia differente rispetto all’omosessualità maschile e ha anche una differente carica simbolica.

La parola Lesbica

A cominciare dalla parola Lesbica, così poco pronunciata – Edda Billi dice che già alla seconda  sillaba ti rimane in bocca e non riesci a finirla di dire – e che spesso, ahiloro, non piace alle stesse lesbiche.

Eppure lesbica rappresenta uno di quei percorsi politici di riappropriazione di una parola nata come insulto, che è stata impiegata in senso identitario e positivo.

Un breve excursus storico

La visibilità lesbica ha la sua importanza perché le lesbiche, come tutte le altre donne, nell’eterosistema patriarcale (e anche in certo immaginario erotico) sono viste in funzione degli uomini.

D’altronde, come cosa di donne, il lesbismo è sempre stato poco considerato dal patriarcato, scarsamente considerato a livello filosofico e culturale.
Come nel caso dell’Antica Grecia (dove si dava esclusiva importanza simbolica ai rapporti omosessuali maschili, in prevalenza pederastici).
Oppure era oggetto di scherno, come si vede in Giovenale e in altri esempi nell’Impero Romano (dove anche l’omosessualità maschile doveva seguire determinate regole).

Persino nei campi di concentramento nazisti le lesbiche non vengono annoverate tra le persone omosessuali per cui i triangoli rosa vanno esclusivamente agli uomini.
Sono collocate tra le  persone asociali, cui vanno i triangoli neri, perché, per il nazismo, mentre un maschio omosessuale era traditore della patria e della maschilità, una donna, anche se lesbica, poteva sempre rimanere incinta e quindi dare figli alla patria…

E ancora oggi se due ragazzi  vanno al bagno insieme danno più nell’occhio che se lo fanno due ragazze…

La visibilità lesbica

Per questo l’importanza della visibilità lesbica va oltre l’orientamento sessuale della singola donna, per abbracciare una sororanza tra donne nella quale le donne si riconoscono come donne grazie al rapporto tra pari e non più in funzione o ad uso del maschio.

Edda Billi usa, in questo senso, il termine lesbicità. 

La visibilità è il sancire l’esistenza, è sottolineare la dignità d’essere  qualcosa che è più facilmente oppressa se rimane nascosta.
Le femministe lesbiche, dicendo che il personale è politico a chi relegava l’essere lesbica all’ambito prettamente privato, hanno sancito l’importanza della visibilità non solo femminile, ma lesbica, smontando l’idea della donna funzionale all’uomo, sottraendo il termine lesbica dall’accezione negativa a cui era relegato.

Visibilità come strumento di auto-emancipazione

Bisogna anche ricordare sempre che l’accusa di ostentazione, con cui si vuole ridimensionare il portato politico della visibilità omosessuale, femminile quanto maschile, è negli occhi di chi guarda, di chi considera ostentazione, per esempio, anche solo un bacio dato in pubblico tra due ragazze e non quello tra un ragazzo e una ragazza.
Se il primo dà più nell’occhio del secondo è proprio perché lo si vede di meno ed ecco che la visibilità si fa strumento di autoemancipazione e di liberazione per chiunque voglia sottrarsi all’eterosessismo.

Eric Gentili 26 aprile 2019

Omofobia: domani 1° Ottobre associazioni in protesta a Roma, in piazzale Flaminio

contromofobia-flyerDopo gli ultimi due eclatanti atti omofobi consumatisi prima nella Gay Street, cuore della movida LGBTQI che ha visto crescere generazioni di persone omosessuali e poi nel centralissimo quartiere Flaminio, dove lo scorso 26 settembre un ragazzo di vent’anni è stato aggredito da tre sconosciuti scappati all’arrivo dei passanti pronti a soccorrerlo, le Associazioni LGBTQI lanciano un appello e si danno appuntamento Sabato 1° Ottobre Piazzale Flaminio dalle 17 alle 18, per un Flash Mob di protesta mirato a porre l’attenzione sui lavori riguardanti la Legge contro l’Omofobia.

Stanchi e stanche di subire azioni violente guidate dall’odio, le associazioni Anddos-Gaynet Roma, Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli, Famiglie rcobaleno,  Di’GayProject, Agedo Roma, Equality Italia, Gaycs, I Mondi Diversi, Uaar Roma, Beyond Differences Onlus, OmofobiaStop, Ass.ne GayStreet Roma e Gay Villagedanno appuntamento a tutti i sostenitori e tutte le sostenitrici dei diritti civili presso Piazzale Flaminio, dove avrà luogo un Flash Mob di denuncia della mancanza di tutela verso le persone vittime di omofobia e di ogni discriminazione.
La mancanza della Legge contro l’Omofobia ha una eco molto forte soprattutto in queste ore in cui si consumano violenze gratuite ed ingiustificabili  cui i media stanno dando il giusto risalto.
I casi di violenza sono migliaia in un Paese dove la violenza omofoba trova ancora troppo spazio rimanendo impunita e prolificando nel degrado culturale in cui la società sta versando.

Ci domandiamo infine la sindaca Virginia Raggi cosa attenda a convocare il tavolo comunale delle associazioni lgbtqi, che da alcuni anni produce centinaia di iniziative, progetti e, formula proposte culturali e sociali per contrastare l’omofobia.

Le domande poste dalla folla mirano ad instaurare un dialogo con la giunta appena insediata, affinché questa possa fornire loro delle risposte su quali saranno i provvedimenti e le politiche sociali per migliorare la nostra città, proprio in tema di omofobia e di informazione.

Attenzione e riguardo sono rivolte anche e soprattutto verso il governo, da cui il movimento aspetta risposte concrete, perché nel 2016 è inaudito che le perosne omosessuali bvengano aggredite, derise o emarginate perché omosessuali! 

E’ ora di agire. E’ ora di legiferare!

Ci vediamo tutte e tutti Sabato 1° Ottobre
in piazzale Flaminio
alle ore 17.00

Caso Varani: specchio o fantasma di una comunità

Foffo: “ho avuto con Marco solo un rapporto orale a causa dell’alcol e della droga che avevamo assunto”.

imgLuca Varani: un nome che da giorni riecheggia in tutti i mezzi di comunicazione, dalla tv ai quotidiani online.
Un nome che risveglia sentimenti di pietà, indignazione e vergogna, ma anche rabbia, frustrazione e disorientamento. Un nome che risuona nelle coscienze di ogni individuo, che chiedono chiarezza e gridano vendetta.
Molta è la curiosità sullo svolgimento reale dei fatti, ma questo è ancora pertinenza delle indagini; al momento potrebbe essere invece più fruttuoso interrogarsi sul perché un episodio come questo, all’apparenza non troppo dissimile da altri presenti nelle cronache, abbia suscitato tanto scalpore e, soprattutto, su come sia divenuto simbolo di una lotta civile ben diversa.
Il soggetto della vicenda, un ragazzo “come tanti” e i complementi ad esso associati, alcol e droga, sono chiaramente centrali nella risposta a questi quesiti: l’elemento che sconvolge maggiormente gli animi è la natura del protagonista del dramma, ovvero il suo essere il ragazzo della porta accanto che lo rende, di volta in volta, un eventuale figlio, fratello, amico.
Eppure, la risposta non è tutta qui: ogni evento può essere interpretato non solo sul piano di realtà, ma anche su quello simbolico e affettivo, in quanto portatore degli affetti e dei sentimenti del diretto interessato ma anche dell’osservatore o dell’osservatrice.
Ridurre la caleidoscopica complessità umana solamente a carne e sangue sarebbe un errore quanto meno sciocco, tanto più che si andrebbe a trascurare un aspetto fondamentale nel determinare qualsiasi interscambio, sia esso sano o patologico, tra esseri umani, cioè la cultura all’interno della quale quell’interscambio avviene.
Basta analizzare anche superficialmente il tessuto sociale e culturale di riferimento, quello italiano medio, per comprendere non solo alcuni aspetti della vicenda in sé, ma anche gli usi che ne sono stati fatti nonché la scelta di alcune espressioni comparse negli articoli che hanno trattato il caso.
Non è possibile trascurare la base ancora profondamente omofoba e sessuofobica della società italiana per operare un’analisi davvero accurata: non stupisce l’evidente confusione, oltre che l’ingenua sovrapposizione, tra l’orientamento sessuale e l’omicidio che si sta trattando.
Non è che la vecchia questione del saggio che indica la luna e dello stolto che guarda il dito: la luna, ovvero il fatto accaduto, può essere semplicemente una psicosi indotta dall’abnorme quantità di sostanze stupefacenti di cui i due omicidi hanno abusato; il dito è l’orientamento sessuale di uno, due o tutti e tre i ragazzi, il quale può essere di qualsisi tipo e, intelligentemente, messo da parte nel guardare all’evento.
Invece no: non solo si è parlato di “festino gay”, ma anche di “comunità gay”.
Ora, cosa vuol dire “festino gay”?
img 3Una festa cui partecipano persone il cui orientamento sessuale è gay? Cosa sta a qualificare l’attributo “gay” in un’espressione simile?
Pur volendo confidare nella buona fede di chi ha scritto quegli articoli, l’aggettivo serve solamente a suggerire un accostamento pretestuoso tra l’orientamento sessuale e le caratteristiche del “festino”, quali alcol e droga.
Tale accostamento, oltre ad essere tanto limitato e limitante quanto quello con l’atto omicida, introduce ad un’altra questione complessa dal punto di vista socioculturale: quella della “comunità gay”.
Esiste una comunità gay?
Se si considera il significato linguistico del termine “comunità”, inteso come “insieme di persone unite tra di loro da rapporti sociali, linguistici e morali, vincoli organizzativi, interessi e consuetudini comuni”, allora si può affermare che in effetti una comunità gay esista.
Tuttavia, non dimentichiamo che una qualunque comunità è sempre epifenomeno di una comunità intesa in senso macroscopico, che può essere quella nazionale, internazionale (ad esempio quella europea) o mondiale, fino ad arrivare a quella degli uomini e delle donne nel senso più generale possibile, di cui anche la famigerata “comunità gay” condivide gli aspetti più intimi.
Siamo fatti e fatte della stessa sostanza, di aspetti più adattivi, altri meno, ed è l’intreccio specifico di geni e ambiente in cui un individuo vive a determinare la sua irripetibile unicità.
E’ la cultura cui si fa riferimento a offrire una lente attraverso la quale leggere il mondo ed è chiaro che alla base di questo magma mediatico sul caso Varani ci sia uno scontro tra culture diverse.
Ciò che è in discussione è il fronte della tolleranza, dell’uguaglianza nel rispetto delle singole diversità, della liberazione sessuale, della parità dei generi e di tutto quel panorama culturale che affonda le sue radici nella lotta al razzismo e al sessismo, oltre che nel femminismo.
Detto questo, si può dare orgogliosamente il nome che si preferisce a una cultura simile, sia anche quello di “cultura gay”.
Luca Varani si offre come specchio e, allo stesso tempo, come spettro di una società permeata da una ristrettezza di vedute e alimentata da una serie di fobie che portano al martirio mediatico di un ragazzo già morto.
Per chiudere, alcuni spunti di riflessione:
che non sia questa stessa cultura a doversi interrogare su alcuni aspetti non indifferenti di questo episodio?
Che non sia l’ignoranza dilagante quella che porta Foffo a doversi giustificare con l’alcol e la droga per un presunto legame sessuale, se non affettivo, con Prato che lo qualificherebbe socialmente come omosessuale?
Certamente, lui non conta perché è un folle omicida. Bene.
E non può essere stata questa stessa ignoranza ad aver presumibilmente portato Luca a ricercare sesso a pagamento, piuttosto che viverselo alla luce del sole e non come una merce di scambio in nero?
E come la mettiamo con la circolazione di quantità tanto ingenti di sostanze stupefacenti a fronte di denaro, oltre che con la sua associazione arbitraria al sesso libero, come se fossero corresponsabili di un omicidio?
Il sesso libero (attenzione: libero da pregiudizi, non da precauzioni) è ancora visto come qualcosa di così torbido?
Magari le coscienze dovrebbero prima di tutto rispondere a questo.
Magari.

Christopher Pacioni

L’omosessualità non è una scelta ma per la Fiction Rai “E’ arrivata la felicità!” sì.

è-arrivata-la-felicitàNella Fiction “E’ arrivata la Felicità” in onda su Rai 1 di Ivan Cotroneo tra le protagoniste secondarie è presente una coppia di donne omosessuali. Durante la narrazione delle prime quattro puntate tutto fila liscio senza riferimenti “particolari” alla coppia omosessuale fino alla puntata del 20 novembre quando una delle due donne in coppia dice che essere lesbiche è “una scelta”.

Nessuna persona sceglie il proprio orientamento sessuale, non le persone omosessuali e nemmeno quelle etero.
L’unica cosa che possiamo scegliere quando ci rendiamo conto che ci piacciono persone dello stesso sesso è vivere il nostro orientamento sessuale o reprimerlo, ma non lo possiamo cambaire con un semplice atto di volizione.

La solita fiction marchiata Rai. Mai qualcosa di diverso…


Cliccate qui per la clip della scena: https://youtu.be/ZGdSqks-6dU